Persecuzioni religiose
- Redazione
- 10 giu 2018
- Tempo di lettura: 2 min

Le testimonianze che don Luigi Ginami riporta nel suo libro “Dove i cristiani muoiono” - Edizioni San Paolo 2018 -, sono di una drammaticità disarmante e tolgono il fiato.
In particolare, destano sgomento e sono sconvolgenti i racconti sulla strage nel campus universitario di Garissa in Kenya ai confini della Somalia. Sono 148 i giovani studenti cristiani, ragazzi e ragazze, che vengono massacrati, ferocemente, da diavoli incarnati in fanatici islamici di Al Shabaab. Sono immagini che rievocano l’Apocalisse “vidi le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio”, descritte da coraggiosi superstiti che l’autore riporta... “sgozzano e distruggono le loro teste.... L'intento diabolico è evidente: non solo uccidere, ma polverizzare e dissacrare l’identità cristiana”. Una ferocia frutto di quel “integralismo islamico che sfrutta il nome di Dio per uccidere in modo orribile”. Erano i giorni in cui si festeggiava la Pasqua in tutto il mondo, esattamente il 2 aprile 2015, ma di quel giorno non si ricordano grandi adunate di folle di cristiani per le strade delle città, o raduni nelle chiese a testimoniare per quei moderni e innocenti Martiri. Forse ci saranno stati tanti post sui social, ma non bastano. Siamo forse troppo assuefatti alla morte violenta e a subire o restiamo attoniti e incapaci di reagire in modo collettivo ed energico. A Parigi, per i morti persecuzione dei cristiani in Medio Oriente si troverà quando “ci sarà una stabilizzazione della situazione per tutti i gruppi etnici e religiosi in maniera più equa possibile”. Il dramma, però, è ancora più globale e le sofferenze per i cristiani si ripetono in maniera violenta e sistematica in Africa ma anche in Asia. Le informazioni restano limitate a lanci di agenzia e sommari report che restano in sordina e lasciati a pochi servizi giornalistici in gran parte dello stesso mondo cristiano e cattolico. C’è sempre più da auspicare e volere che i cristiani in sofferenza sparsi nelle aree a rischio del mondo se sono perseguitati non siano abbandonati e ancor peggio non dimenticati.
Ma la questione va affrontata in modo globale e non lasciata alle comunità locali che non possono difendersi e quando reagiscono restano vittime.
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